ARCES VIADANA, 12 anni dagli aiuti a l'Aquila: il ricordo di uno dei protagonisti.
Giuseppe Guarino: ""La pandemia è un nemico invisibile, il terremoto lo vedi. Lo vedi nelle cose, ti entra dentro. Ricordo ad Amatrice le foto delle persone che non c'erano più, e tutta quella devastazione. Rispetto alla pandemia che percepisci diversamente, lì la morte e la distruzione ce l'hai davanti. La vedi e la senti"
VIADANA – Sono passati 12 anni, e sembra ieri. Ricorderanno quei momenti ognuno in maniera intima e privata, chi con una preghiera, chi con un pensiero. Sono passati 12 anni da quell’operazione di aiuto dopo il terremoto de l’Aquila. Una delle più grandi organizzate da volontari in territorio mantovano.
Cinque TIR stracarichi, oltre a numerosi furgoni, messi a disposizione da alcuni imprenditori (tra i quali Saviola di Viadana) insieme agli autisti, una 20ina di volontari. Anche il Rugby Viadana mise a disposizione uno dei loro furgoni. I ragazzi di ARCES e quelli della parrocchia di Belforte che decisero di partire dopo una raccolta di beni (aiuti alimentari, vestiario, medicinali) raccolti in maniera straordinaria in breve tempo.
Fu davvero un’esperienza straordinaria riconosciuta a livello nazionale. Emergencies 112, la rivista di informazione studi e ricerche sulla Protezione e Difesa Civile e sulla Sicurezza, dedicò due pagine a quella missione d’aiuto.
“Contattammo la Protezione Civile Nazionale – ci racconta Giuseppe Guarino che con la sua ARCES decise di partire – e ci destinarono a Montereale, dove c’era la tendopoli che accoglieva i terremotati. Partimmo di notte, con un gruppo unito, convinti di poter fare qualcosa per loro. Convinti che dovessimo pure noi fare qualcosa. Quando senti che qualcuno ha bisogno, il resto viene da solo. Tanta gente ci diede una mano nella raccolta”.
L’arrivo a Montereale (AQ) all’alba e l’incontro con una realtà difficile. Gente spaventata, le scosse che si susseguivano, i mezzi di soccorso. Gli uomini dell’esercito e della protezione civile, i vigili del fuoco, altri volontari giunti in quella bellissima terra per l’emergenza. “Un’immane tragedia – ricorda Giuseppe Guarino – che toccavamo con mano. Scaricammo tutto quello che avevamo, insieme alla gente del posto che venne a darci una mano. Ricordo la gente con gli occhi pieni di paura ma con tantissima dignità. Gente spaventata ma fiera”.
Difficile da spiegare, ma è proprio quello che racconta Giuseppe la parte più intensa, e vera, delle ‘missioni’ in aiuto. Si pensa di andare lì ad aiutare chi ne ha necessità, e in piccolissima parte (rispetto alle necessità) lo si fa, poi ci si accorge che l’aiuto più grande che porti (con te) è quello che ti danno loro. Quella forza che ti riporti a casa e che è infinitamente più grande di tutto l’aiuto che puoi portare tu.
“Conoscemmo molte persone, passammo la giornata al campo base – prosegue Guarino – e ci invitarono a fermarci per mangiare con loro. Mentre mangiavamo ci fu anche una scossa forte di terremoto che riaccese quel terrore. Pur se eravamo al sicuro, la gente si spaventò ancora una volta. Era il retaggio di quello che avevano vissuto. Ci invitarono nelle loro tende, ci aprirono le loro braccia e fu un’esperienza difficile anche da raccontare e che ancora, 12 anni dopo, portiamo dentro a scaldarci il cuore. Nel pomeriggio festeggiammo anche un compleanno di una bambina nel campo. Una piccola festa segno che la vita continuava”.
Giuseppe ricorda altri particolari di quel viaggio: “Andammo a Montereale lo stesso giorno dell’arrivo del presidente del Consiglio Berlusconi a l’Aquila. Ma tante delle persone che erano in quel campo decisero di restarsene lì con noi. Io ero a bordo del furgone del Rugby Viadana. Quando arrivammo, vista la rivalità sportiva che allora c’era tra Viadana e l’Aquila, incrociammo alcuni ragazzi che ci guardavano per cercare di capire cosa ci facesse lì un furgone del rugby. Ci fermammo a spiegare, e ci sorrisero. Ci accolsero tutti con tantissimo affetto”.
Fu la prima delle esperienze, poi ci fu Amatrice, l’Emilia e ora la pandemia: “La pandemia è un nemico invisibile, il terremoto lo vedi. Lo vedi nelle cose, ti entra dentro. Ricordo ad Amatrice le foto delle persone che non c’erano più, e tutta quella devastazione. Rispetto alla pandemia che percepisci diversamente, lì la morte e la distruzione ce l’hai davanti. La vedi e la senti”.
ARCES è pronta a ripartire: “Avevamo in programma un progetto con il Centro Italia prima che scoppiasse la pandemia. Poi la pandemia e gli orizzonti che sono cambiati. Abbiamo fatto quello che potevamo fare anche per questa emergenza. Ma appena si potrà, torneremo in quelle terre. Perché un giorno torneremo”.
Anche questa è una cosa non semplice da spiegare. Ma forse neppure tanto. Chi è volontario, chi crede in quello che fa, prima o poi torna dove è stato, dove ha fatto qualcosa. Paradossalmente non tanto per dare. Ma per prendere. Quegli sguardi, quegli abbracci e quell’affetto. Una moneta più importante, più forte e più vera di ogni altra ricchezza. Stasera, una preghiera ed un pensiero. Domani – appena possibile – ancora un viaggio. Ad incrociare cuori.